Come sono accolte oggi le donne nel mondo del lavoro?
Tra i problemi di uguaglianza sessuale, ancora adesso nel duemila, le donne sono costrette ad affrontare l’annosa questione della mancanza di lavoro o ancor più ingiusto, la questione del divario salariarle che si riscontra con i colleghi maschi. Con la crisi economica, infatti, aumenta il distacco tra occupazione maschile e femminile. Sono le donne, come accade la maggior parte delle volte, a pagare il prezzo più alto in questi tempi di chiusura delle fabbriche, delocalizzazione e cassa integrazione. Attualmente, il tasso di disoccupazione femminile, nel nostro paese, si attesta verso un triste 46,1%, tra i peggiori d’Europa. Dato ancor più rilevante se si conta che la maggior parte dei laureati del bel paese è donna. Su circa 161.445 studenti che arrivano all’agognato titolo accademico il 57,3% sono donne. Ma le difficoltà non consistono esclusivamente nell’accedere al mercato del lavoro. Una donna su nove, a seguito della maternità, rischia di perdere definitivamente il proprio impiego; e non è raro registrare, per coloro che ritornano, casi di mobbing o discriminazione. Le differenze salariali, sono un altro tasto dolente. Lo stipendio base per un’impiegata dipendente, infatti, è del 22% inferiore a quello del collega maschio; percentuale che sale al 27% se si tratta di lavoro autonomo. La discriminazione tocca anche la tipologia contrattuale. I posti a tempo indeterminato, infatti, sono calati per il gentil sesso del 4,7%, e aumentano, quasi, proporzionalmente quelli a termine che si attestano sul 3,2%.
Quali sono le conseguenze di questa disparità nel lavoro tra donne e uomini?
Emarginare la donna dal mercato del lavoro o nel mondo del lavoro ha ripercussioni di indubbia rilevanza sulle famiglie italiane. In primis si priva un nucleo familiare di un ulteriore introito, riducendo la famiglia in uno stato di perenne precarietà economica. Privare, inoltre, la donna di emancipazione economica e sociale, porta ad un impoverimento culturale dell’intera società che si ripercuote sulla crescita dei figli e quindi sull’avanzamento dell’intero paese. In un periodo nel quale innovazione tecnologica e ricerche la fanno da padrona, l’Italia non riesce ancora a puntare nella giusta direzione, ripercorrendo, invece, i passi dell’arroccamento seguendo gli schemi della famiglia tradizionale dove la donna diviene sì un’importante tassello nell’ordine del sistema familiare curando i figli e la gestione domestica ma perde il potenziale creativo ed innovativo che essa più apportare in una società dall’attestato stato di invecchiamento progressivo come ormai riconosciuto per l’Italia da anni.
Un tocco di rosa nei consigli di amministrazione.
Se pur piccolo, un passo in avanti nello svecchiamento del mondo del lavoro in Italia sembra essere fatto.
E’ di questi giorni, infatti, la notizia di una nuova legge che introduce le quote rosa all’interno dei consigli di amministrazione in contesti di lavoro importanti quali aziende quotate in borsa o società partecipate. A partire dal 2012, secondo le disposizioni normative, un quinto dei Cda dovrà essere composto da donne. La legge ha degli indubbi vantaggi. Il cambio generazionale, inteso come diversità uomo-donna, porta una ventata di novità all’interno dei soliti assetti dirigenziali. La sensibilità e la lucidità riconosciuta alle donne, sono considerate linfa vitale per aziende e contesti finanziari dalla storia secolare. Paesi come Svezia, Norvegia ed Islanda, sono un esempio di isola felice per la crescita aziendale grazie soprattutto alla scelta di aumentare il numero di donne nei contesti decisionali più importanti.
Che entri anche l’Italia in questa arcipelago felice? Affinché tale passo in avanti per il bene di un interno paese venga fatto, l’auspicio e che cambino tutte le regole nel difficile gioco donna-lavoro.