Io sono un’assassina
Tra i libri più controversi e discussi degli ultimi mesi troviamo “Io sono un’assassina” scritto da Cinzia Tani con cui si può studiare la percentuale di donne assassine, in particolare nella nostra cultura. Un saggio con il quale l’autrice cerca di rispondere ad alcuni quesiti di psicologia femminile, ovvero, perché le donne uccidono e perché la percentuale sale con le giovanissime?
Il libro, edito dalla casa Editrice Mondatori, raccoglie 21 storie di assassine, spesso senza scrupoli, che si sono macchiate d’omicidio nel corso degli ultimi secoli; si parte dal lontano ottocento per arrivare fino a giorni nostri. Una sorta di viaggio nella storia del crimine in rosa attraverso il quale si può constatare che il fenomeno dei donne assassine è in aumento soprattutto nei paesi occidentali. Ma a cosa si deve questa infausta crescita? E soprattutto, cosa scatta nella mente di queste sadiche assassine per arrivare a giocarsi la propria libertà e stabilità con gesti così estremi?
Assassine del passato: l’omicidio è servito
Tra le prime informazioni che emergono dall’opera della Tani , si scopre che il movente, nel corso degli anni è cambiato. Nel passato, si diventava spietate assassine passione. Ci si vendicava di un marito traditore, oppure si eliminava un padre oppressore o addirittura, si ritornava ad essere libere da un marito non amato per poi raggiungere il sogno d’amore con un altro uomo. Il metodo più ricorrente era l’avvelenamento. Anni addietro, l’arsenico era la pozione letale maggiormente disponibile ai più grazie all’ingente presenza sulla carta moschicida. L’operazione era sempre la stessa; si acquistava il prodotto dal droghiere oppure dal farmacista con il pretesto di liberare casa dai fastidiosissimi insetti, si faceva bollire la carte ed il ricavato veniva sapientemente celato all’interno di minestre e brodini. Con un pizzico di cinica ironia, potremmo dire; l’omicidio è servito. E la premeditazione, a questo punto, considerando la laboriosità dell’atto, era pressoché scontata.
Perché tante giovani assassine?
Il movente per le giovanissime va riscontrato tra i disturbi e gli squilibri psicologici; solitudine, frustrazione, rabbia o anche depressione. Sono addirittura diciottenni e ventenni che seguendo i loro impulsi diventano cieche assassine. Più seguono i loro impulsi e più risultano futili i moventi che le spingono a gesti inconsulti. Spesso sono ragazze annoiate, senza stimoli e spesso senza una guida valida che possa fungere loro da punto di riferimento. Gli omicidi commessi da queste piccole donne sono quasi tutti caratterizzati da un’immane violenza e spietatezza; non a caso sulla scena del delitto o sul corpo della vittima si ritrovano segni di coltelli, oggetti appuntiti o addirittura fili del telefono, quasi a voler rispettare la trama del più cruenti dei film horror. La psicologia di queste giovani assassine è spesso definitiva borderline, ma non tutte provengono da background familiari difficili. Talvolta il seme della follia cresce in ambititi normali e apparentemente equilibrati. Ciò che accomuna tutte è l’equilibrio precario della loro psiche e stabilità emotiva e sociale. Ed in questo contesto, assumono un ruolo chiave le loro figure di riferimento. Un ambiente nel quale si presta minor attenzione a giovani donne, è quello più fertile per l’emergere di spietate menti assassine!